L'inizio della
passione di Gesù
lo vide nell'orto degli olivi, dove pregò il Padre, se fosse possibile, di
risparmiarlo dalle sofferenze che dovevano seguire. Con l'avvicinarsi del
Natale e l'ennesima incarcerazione nel nostro pianeta dello spirito del Cristo
cosmico, possiamo immaginare che una analoga passione Egli debba ripetere. Conosciamo
la risposta che ricevette Gesù: il conforto degli angeli, ma l'attraversamento
della prova. Perché - era in effetti la sua preghiera - per compiere la
missione sulla terra era necessario soffrire? Non è proprio possibile farlo in
un altro modo?
Il
Vangelo dà anche a noi l'unica risposta possibile: no! Siamo qui tutti per
compiere una missione: l'evoluzione, anche se la grande maggioranza lo ignora.
E questa missione richiede il sacrificio. Se analizziamo questa parola: sacrificio, ne possiamo trarre il
significato: fare sacro; rendere cioè
sacra un'azione. Quando riuscissimo a realizzare ciò, allora gli angeli si
avvicinerebbero anche a noi. Non si può evitare quello che ci fa soffrire, ma
lo si può vivere in modo differente. In fondo, il vero sacrificio dell'amore
del Cristo sarebbe quello di non poter fare niente per noi; così tramite la sua
sofferenza Egli ci può aiutare. E continua a farlo.
Però,
queste belle parole noi le accogliamo e le condividiamo quando riguardano gli
altri. Siamo sempre circondati dal male e dal dolore altrui, ma per
accorgercene davvero dobbiamo prima viverlo personalmente. Solo allora le
domande che nascevano negli altri assumono il loro vero significato; senza
l'esperienza diretta non ci è possibile comprenderle fino in fondo. E le
risposte che fino a prima ci sembravano tanto logiche ed esaurienti, spesso
perdono la loro presa nella nostra coscienza, e talvolta fanno nascere nuove
domande.
Sappiamo
che il dolore è il prodotto karmico di cause da noi stessi messe in moto nel
passato; ma se lo guardiamo solo da questo punto di vista perdiamo metà della
questione: restiamo attaccati al passato, quel passato che ha prodotto il
dolore. L'altra metà riguarda il futuro: il futuro così osservato diventa, di
conseguenza, un'azione liberatrice, tale da rendere
sacra l'attuale sofferenza per promuovere l'evoluzione che ci attende.
Senza quell'azione liberatrice resteremmo legati al passato, e mancheremmo la
nostra missione. Sarebbe un errore fuggire quell'esperienza, perché ci priverebbe
del risultato. Il problema è che il risultato lo coglieremo nel futuro, mentre
il presente sente solo la sofferenza. Dare però un significato alla sofferenza
ci può aiutare a viverla in maniera diversa; fino quasi a non sentirla più come
un peso insopportabile. Possiamo utilizzare queste riflessioni anche per
accogliere il Natale con una maggiore consapevolezza; verso noi stessi e verso
gli altri.
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